Un ricordo di don Isidoro senza cadere nella retorica. Non è cosa facile, dal momento che ora si parla di lui come di un santo e chi l’ha conosciuto, avverte la straordinarietà di averlo incontrato personalmente..

Lo ricordo semplice ed austero ad un tempo: ricordo il suo sorriso genuino e disarmante, mentre la sua immagine scorre lungo la mia esistenza , comparendo in tanti e diversi momenti della mia vita.

Il primo ricordo si colloca sul finire degli anni ’70, del secolo scorso ovviamente. Il luogo è Legnano, la redazione del settimanale cattolico Luce: un locale modesto, in cui si ritrovano i redattori, nella parrocchia di San Magno. Sono “volontari”, nel vero senso della parola, giovani di belle speranze, prima fra tutte quella di “fare il giornalista”, aspirazione massima per chi sa di lettere ed ancora si illude di poter bypassare l’insegnamento. Alcuni, come me, insegnano, ma scrivere soddisfa una grande passione: c’è entusiasmo, desiderio di fare qualcosa di buono, di rendersi utili al prossimo, di comunicare messaggi di speranza. Ci si crede.

Ritrovarsi insieme è una gioia, anche per la presenza di questo sacerdote, giovane, (o forse solo in grado di portare magnificamente la sua età), magro, atletico, bello, con una folta capigliatura ed un sorriso unico: si chiama don Isidoro e confessa che funge da direttore non perché abbia desiderato questo ruolo; “obbedisce” a chi gli ha chiesto di assumersi questo compito. E’ simpatico, cordiale, attento alle storie di tutti. Sono anni di impegno, di partecipazione: le prime elezioni scolastiche, gli organi collegiali; ciascuno pensa di poter in qualche modo contribuire al grande processo di rinnovamento del  Concilio Vaticano II…Lo ritrovo lì, in Decanato a Busto a preparare la lista elettorale di Comunità educante. Ormai so che la mia strada si percorre nella scuola; credo alla partecipazione: genitori, insegnanti, studenti insieme, si possono condividere gli stessi valori, si pensa di trasformare il mondo…Si crede ancora molto nella famiglia: anch’io non vedo l’ora di sposarmi, uscire dalla casa paterna, cominciare una vita autonoma, costruire una nuova famiglia, mettere al mondo i figli, senza interrompere la partecipazione o rinunciare agli impegni. Così la mia primogenita viene alla luce all’indomani di una riunione del Distretto Scolastico. Sollecito giunge il biglietto di felicitazioni di don Isidoro, che ora gelosamente conservo tra i “preziosi” di famiglia (per inciso “preziosi” sono nella nostra casa gli autografi di chi abbiamo amato e conosciuto).

Si crede ancora nell’associazionismo : come docente entro a far parte dell’Unione degli Insegnanti cattolici ritrovo don Isidoro che ne è responsabile spirituale. E’ stato proprio lì l’ultimo incontro.

ritrovo don Isidoro che ne è responsabile spirituale. Era ottobre: come ogni anno si celebrava, in concomitanza con l’apertura dell’anno scolastico, anche l’inizio delle attività associative con una S. Messa seguita da un gustoso buffet di torte preparate dai soci. Don Isidoro celebra la liturgia con quell’abituale atteggiamento di totale confidenza col Padre Eterno, che gli fa aprire le braccia e guardare verso il cielo suscitando nei presenti la sensazione di assistere ad una straordinaria intesa creatura-creatore. Con quale sorriso si rivolgeva al Padre! Non c’è ostentazione : nessun atteggiamento sembra più semplice e naturale. All’omelia comincia a spiegare proprio il Padre nostro ed i versetti della preghiera scendono nei nostri animi come ricostituente. Silenzio. Commozione. Ora sembra un momento profetico: alla luce degli avvenimenti successivi, vien da pensare che Padre e Figlio in quel momento regalassero a noi fortunati presenti un’esperienza mistica.

Di lì a qualche mese, vicini ormai a Natale, mentre transitavo in auto nella zona limitrofa all’ospedale, vedo un sacerdote che si inoltra nelle vie con la sua veste talare e un giaccone protettivo per portare la tradizionale benedizione alle famiglie: è lui, lo riconosco, ricordo di aver appreso da qualcuno che gli era stata affidata la parrocchia di S. Giuseppe, quindi questo è un altro dei suoi tanti compiti…E’ un pomeriggio grigio di dicembre: non so perché, ma la sua lunga  figura da lontano  mi suscita una profonda tristezza; penso alle reazioni delle persone ai cui campanelli andrà a suonare: lo accoglieranno bene? Capiranno il senso del suo gesto , in questo clima natalizio sempre più ridondante di superfluo? Lui è troppo diverso, fa il muratore,  per costruire un luogo di ricovero a chi la vita se l’è rovinata, non si è mai concesso un giorno di vacanza, è fuori del tempo…

Lo guardo tristemente : non sapevo che sarebbe stata l’ultima volta; ora lo so.

A febbraio, la sera di S.Valentino, giunge improvvisa questa notizia terribile, ma forse un po’ prevista, si, perché una volta ci aveva detto serenamente:

“Morirò a 46 anni, come il mio papà”.

Marilena Goracci