Il testamento spirituale di don Isidoro è un magistrale saggio di umanità e di fede. Fu scritto il 28 giugno del 1990, nel ventunesimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale dell’autore. Per stenderlo, egli si ritirò qualche giorno in montagna, in piena solitudine, nonostante le sue numerose responsabilità lo chiamassero altrove. Mai don Isidoro si sarebbe sottratto a un impegno: evidentemente la chiamata interiore a predisporre il suo ultimo lascito si rivelò più forte di tutto. Aveva appena compiuto 45 anni e da tempo profetizzava che sarebbe morto entro il suo 46esimo anno. Questa misteriosa consapevolezza, che si sarebbe rivelata esatta, fu certamente la ragione principale che lo spinse ad affrettare la redazione del suo testamento. Ad esso egli allegò alcune indicazioni pratiche relative al suo funerale e all’eredità dei suoi pochissimi beni, perlopiù libri.

Al suo ritorno, egli informò i familiari e i confidenti più stretti di aver assolto il compito. Essi se ne ricordarono all’indomani della sua morte, ritrovando il testamento tra le sue carte. Venne letto nel giorno del suo funerale, tra lo stupore e la commozione generale delle migliaia di persone  presenti.

A distanza di anni, l’ultimo, straordinario messaggio di don Isidoro conserva integra tutta la sua intensità umana e teologica. Lo pubblichiamo di seguito:

Dio, eterno, infinito, meraviglioso Amore, Trinità santissima, Padre, Figlio, Spirito Santo, con tutta la forza di cui Tu mi rendi capace, presento a Te il mio totale ringraziamento per avermi chiamato ad essere, ad esistere.

Mi donasti la vita attraverso Guido e Irene. Il papà per la sua fiducia nella Tua perfetta misericordia, diventò il più prezioso catecheta della mia vita mediante il sorriso profondo, obbediente, proprio di chi riesce ad essere piccolo per comprendere davvero e per riprendere sempre a darsi con purezza di cuore. La mamma, ricordando ogni giorno come il solo giudizio sul quale fondarsi, per qualsiasi fatto e per qualsiasi sentimento, sia quello del Maestro Gesù, mi testimoniò quanto è attuabile, anche per il discepolo, il passare dal Tabor, al Getsemani, al Golgotha, a Emmaus.

Su queste stupende basi, si rivelò presto, con un fulgore da non lasciare dubbio alcuno, la mia vocazione a vivere la fede nel servizio del Sacerdozio ministeriale.

Le mie timidezze, le mie paure, la mia non lineare emotività, non impedirono alla Tua Grazia di rendermi prete, prete felice.

Nel cammino verso l’Ordinazione e sulla strada del Ministero, mi guidasti a moltissimi incontri con fratelli e sorelle, posti da Te perché io rispondessi, nel tempo che fugge, al Tuo Amore che tutto sostiene, guida, attende.

Perdonami delle mie omissioni, dei miei ritardi, del mio restare tra gli spazi della mia fragile personalità, senza aprirmi abbastanza agli orizzonti del Cuore di Gesù, Salvezza di ciascuno.

E’ sicuro che, da chi nella Chiesa mi facesti trovare come Superiore a chi mi presentasti quale ferito della strada per Gerico, tutti hanno colto in me qualche motivo di delusione; dona Tu, a ognuno di essi, la grazia di sapermi perdonare.

Certo, a modo mio, anch’io ho amato; almeno un traguardo Tu mi concedesti di raggiungere sempre: quello di rimanere nell’insipienza del rancore, proprio verso nessuno.

Grazie di questo, mio Dio.

Il Tuo Disegno redentore, mi apparve in “diverse Damasco” e la mia vicenda terrena è ricca di date per me memorabili; ne scrivo alcune: il 7 giugno 1945, giorno della nascita; il 10 giugno successivo, nel quale divenni figlio Tuo; il 24 aprile 1954, iniziai a nutrirmi del Pane di vita; il 21 ottobre 1955, data della Cresima; il 28 giugno 1969, giorno dell’Ordinazione. Ci sono poi le date dei miei successivi servizi di Ministero e quelle del saluto pasquale alle persone particolarmente amate.

Inoltre Tu sai come nella mia esistenza, in modo, solo per Te prevedibile, si è progressivamente aperta una prospettiva inattesa, difficile, stupenda, a partire dal 4 ottobre, festa di San Francesco e per me memoria orante e dolce della nascita  del papà, dell’anno nel quale la Tua Chiesa era in attesa di un nuovo Pietro dopo l’arrivo a Te di Paolo VI e di Giovanni Paolo I.

Mai, mai, Dio di ogni salvezza, quel Tuo segno sia stato da me frainteso, tradito!

Visto che da Te fui chiamato a parlare nel Tuo nome, mi si conceda di lasciare questo breve, sentitissimo appello:

“Sorelle e fratelli che mi avete conosciuto, accorgetevi che Gesù, Emmanuele, Cristo Signore è davvero in sovrabbondante, gioiosa pienezza Via, Verità, Vita.

In Lui, con Lui, per Lui, scoprite quanto è bella la vita, in tutte le sue espressioni autentiche. Essa, può, forse, sembrare breve, deludente, anche crudele; è invece l’appuntamento e il cammino con l’immolarsi di Gesù per noi, perché noi possiamo credere, sperare, amare fino alla Risurrezione, fino alla vita eterna.

Davanti a qualsiasi fratello, abbiate il coraggio di non chiudere né mente, né cuore; Gesù ce ne rende capaci e ci fa avere il “Suo centuplo”.

Ricordatevi che, credendo in Cristo, abbiamo la incommensurabile ricchezza di poter pregare; non rinunciate mai a mettervi sempre quali discepoli che vogliono imparare a pregare.

Adesso, sapendo che ogni giorno è reso dallo Spirito Santo Pentecoste, uniti a Maria che ci è Madre e Maestra nel permettere alla parola di Dio di illuminare e glorificare l’uomo, ricordando un poco pure me, elevate insieme la preghiera che il Vangelo di Gesù ci insegna: Padre Nostro…”.

Isidoro Meschi

Somasca di Vercurago, 28 giugno 1990