Quando uno sceglie la scuola superiore, si orienta in base a criteri che generalmente sono quelli degli interessi culturali, delle attitudini o delle prospettive per il futuro che un corso di studi può offrire. Fu così per me, che non trovai nel Liceo Classico solo ciò che programmi e Piano per l’Offerta Formativa, oggi lo chiameremmo così, promettevano. No, vi trovai chi mi insegnò l’amore per la Verità e fu il mio insegnante di religione.

Non avrei mai creduto che l’ora di religione avrebbe potuto essere così come la conduceva don Isidoro. Entrava in aula, si metteva davanti alla cattedra e, passeggiando su e giù, sbattendo la tonaca nei suoi passi troppo lunghi con la furia di un ragazzo di vent’anni e con la trepidazione di chi è mosso dalla passione, ci parlava di Giobbe, del mistero del male , di Freud o di Jung, ci spiegava la motivazione Scritturale della presenza del bue e dell’asinello nel presepe, oppure si indignava per chi la sera prima non si era vergognato di inneggiare  alla vittoria all’Heysel.

“Ma allora la religione riguarda ogni aspetto della vita” – mi dicevo. Non lo stavo imparando allora, ma lì lo vedevo farsi carne in quel coltissimo professore.

Poi ancora ci insegnava  che studiare la Bibbia, non era un dovere cristiano ma di ogni uomo che volesse andare a fondo della propria identità; e così la Bibbia andava letta con un approccio storico-filologico, come nelle altre ore della settimana analizzavamo Virgilio o Tucidite, ossia per una ragione culturale prima che di fede.

Questa grande libertà intellettuale, che proprio un sacerdote con la tonaca era in grado di esprimere mi affascinò, finchè capii che questa libertà non poteva che venire proprio dal suo essere sacerdote, dal suo amore all’unica Verità che è Dio. “La Verità vi farà liberi”: la vita di don Isidoro ne è stata la testimonianza più grande.

Stefania Castelli